Aggiornato al 29 Marzo 2024

Omicidio di Elvis Motetta, domani la madre comparirà in aula in Corte di Assise a Novara

Si riapriranno domani, venerdì 19 marzo, le porte della Corte di Assise di Novara al processo a carico di Vittoria Gualdi, 67 anni, accusata dell’omicidio del figlio Elvis Motetta, di 48, avvenuto la notte fra il 16 e il 17 luglio 2020 al secondo piano della casa di Pallanzeno (foto). Potrebbe essere questa la penultima udienza dove sfileranno gli ultimi testimoni della difesa e anche una testimone dell’accusa, la medico legale Carola Vanoli. E’ attesa anche la testimonianza dell’imputata «se se la sentirà» dice il suo avvocato, Enrico Albert, che con Silvia Varioletti sta seguendo la causa, e aggiunge «che la signora si è dimostrata sin dal primo momento collaborativa, non ha nascosto nulla». Vittoria Gualdi però era crollata nell’udienza di venerdì scorso quando erano state mostrate le immagini degli inquirenti, di quella stanza in cui si è consumato l’omicidio, del corpo riverso di Elvis. 

«VI VOGLIO BENE, CIAO»

Quella di venerdì 12, è stata la prima udienza in presenza dell’imputata. Le altre le aveva seguite in videoconferenza dal carcere. Hanno sfilato davanti ai giudici i primi testimoni della difesa. Ed è in questa circostanza che è emersa la difficoltà che aveva la madre a vivere in quella casa con un figlio violento. «In particolare con la testimonianza del cognato, il fratello del marito, ma anche da parte dello stesso fratello di Vittoria, è stato reso chiaro quanto fosse diventato difficile per lei – spiega ancora l’avvocato Albert -. Temeva per la propria persona. Si chiudeva in camera quando andava a dormire». Ed è il fratello di Vittoria, che oggi vive ad Imperia, in Liguria, a spiegare come la sera prima dell’omicidio si fossero sentiti. Lei gli aveva chiesto quando sarebbe andato a trovarla. Il fratello dice ai giudici che tutti sapevano che Elvis si comportava male. Aveva anche provato a trovargli un lavoro in Svizzera, ma rubava dagli armadietti, dava droga agli altri ragazzi. Dice di aver temuto per la vita della sorella e forse di non aver compreso subito il valore di una frase “vi voglio bene, ciao”, che avrebbe pronunciato Vittoria salutandolo e che era la stessa che la loro madre aveva detto prima di compiere l’estremo gesto. «Ha spiegato – continua l’avvocato – di non averle dato peso e solo dopo ha pensato che forse voleva dire che la sorella stava pensando ad un gesto inconsulto di autolesionismo». 

LA PERIZIA PSICHIATRICA

Non è andata così. Vittoria la sera del 16 luglio scorso ha usato un’intera fiala di Songar, un sonnifero. Ci sono le telecamere che mostrano il suo ingresso nella farmacia del paese. La farmacista, a processo, ha dichiarato che era la prima volta che l’acquistava, ma aveva la ricetta e sapeva che il marito era morto recentemente. Non era bastato però il sonnifero ad uccidere Elvis, un uomo di oltre 100 chili. Allora, dalla ricostruzione dei pubblici ministeri Fabrizio Argentieri e Sveva De Liguoro, emerge che Vittoria avrebbe colpito il figlio con una katana, un’arma giapponese, e poi con un coltello. «Pagherò per quello che ho fatto ma lo dovevo fare. Era cattivo. Papà è morto di crepacuore» sono alcune delle frasi scritte alla figlia su un bigliettino che gli inquirenti hanno ritrovato a casa il giorno dopo, quando il delitto era compiuto. C’è la possibilità, dopo l’istruttoria, che gli avvocati presentino istanza per una perizia psichiatrica. Intanto restano i fatti. Quelli che hanno visto testimoniare una poliziotta che aveva arrestato Elvis 20 anni fa a Domodossola, i tentativi dei genitori di chiudere fuori casa un figlio pericoloso, cambiando la serratura. Ci sono le testimonianze raccolte a Pallanzeno, dove i più dicono che Elvis era un violento. E poi c’è chi dice, vista l’ambulanza e la Polizia sotto la casa di via Motetta, il 17 luglio, di aver pensato che stavolta avesse fatto del male a sua madre.

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