Il giudice per le indagini preliminari, Donatella Banci Buonamici, ha deciso, nel cuore della notte, la scarcerazione di due dei tre arrestati per la strage della funivia di Stresa, il gestore dell’impianto Luigi Nerini e l’ingegnere responsabile dell’impianto, Enrico Perocchio. Disposti invece gli arresti domiciliari per Gabriele Tadini, che potrà avere contatti solo con il suo avvocato e con i famigliari conviventi. Uscendo dal carcere nella notte l’ingegner Perocchio (foto) ha parlato brevemente con la stampa, riferendo di “sei giorni pesantissimi” e ha detto di sentirsi sollevato: “Non sapevo dei forchettoni che bloccavano i freni, è fuor di dubbio che non avrei mai avvallato quella scelta. Io lavoro negli impianti a fune da 21 anni e so che quella è una cosa da non fare per nessuna ragione al mondo. Non riesco a dare una spiegazione della fune che si è spezzata, non so nemmeno il punto in cui si è rotta. Le manutenzioni? Sono state fatte tutte quelle imposte dalla norma. Quando ho saputo della strage sono partito immediatamente per recarmi sul luogo dell’incidente, ma nessuno mi ha detto che c’era stata una strage. Pensavo ci fossero da organizzare dei soccorsi e sono partito instantaneamente da casa, nella speranza che si trattasse solo di un accavallamento della fune e non della caduta di una cabina. Onestamente mi sono sentito morire: mi dicevo non è possibile, non è possibile. Avendo il diritto di fermare l’impianto avendolo saputo l’avrei fermato subito. Ho sentito come un macigno cadere sullo stomaco. Da quello che dice Tadini sembra che più volte sarebbero stati inseriti questi forchettoni: io ovviamente non lo sapevo. Non toccava a me fisicamente andare a controllare questi aspetti. Se durante una delle mie visite all’impianto mi fosse caduto l’occhio sui forchettoni, per altro colorati di rosso su iniziativa mia per essere più visibili, li avrei fatti certamente rimuovere immediatamente e avrei cercato di capire perché si erano arrivati ad una misura così drastica. L’errrore è stato quello di mettere i forchettoni per ovviare a un problema che, chiudendo l’esercizio per uno o due giorni in un periodo di bassa stagione, si sarebbe potuto risolvere. Le vittime? Le ricorderò per tutta la vita: se metto sotto con la macchina un gatto onestamente sono già disperato, il pensiero che siano mancate 14 persone su un impianto, essendo io appassionato di impianti a fune, avendo sempre lavorato negli impianti, è ovvio che questa tragedia me la terrò sempre nel cuore, è impossibile dimenticarla. La rottura della fune? E’ un caso rarissimo, ma capita e può capitare, tanto è vero che la normativa prevede i freni sulla fune portante. Ora si farà luce sul come mai la fune si è rotta ma le manutenzioni della fune e della testa fusa erano sicuramente a posto. Con Nerini ho un rapporto abbastanza buono, ritenevo però che la gestione operativa fosse più del caposervizio che del gestore. Non lo so quanto Nerini entrasse in discussioni tecniche, io con lui parlavo di questioni amministrative; se c’era un problema lui spingeva perché, come Leitner (la ditta che ha la manutenzione dell’impianto e per cui Perocchio lavora, mentre il suo incarico di direttore degli impianti era come libero professionista, ndr) perché glielo risolvessimo e glieli abbiamo sempre risolti. Non ho mai ricevuto pressioni da Nerini perché si facesse girare l’impianto in condizioni non regolari”. Aggiunge l’avvocato Andrea Da Prato, difensore di Perocchio: “Il mio assistito è chiaramente felice. Il provvedimento del giudice non solo ci dà ragione sull’inesistenza della gravità indiziaria ma dice che non c’erano i presupposti per il fermo. Non diamo colpe all’accusa, il giudice è lì per correggere eventuali errori, credo che ci sia stato un errore di impostazione della Procura: succede, c’è anche la pressione del caso e la necessità di dare risposte immediate. Sono anche loro nella difficoltà di capire cosa è accaduto. Come ho detto fin dall’inizio il punto è solo giuridico: verso l’ingegner Perocchio il fermo era abbastanza forzato”.
All’uscita Gigi Nerini non vuole rilasciare dichiarazioni; si limita ad una battuta e dice solo che si impegnerà per il risarcimento: “E’ la prima cosa che farò”. Il suo avvocato Pasquale Pantano spiega alla stampa: “Il mio cliente era contento di questa decisione, ma il tema è che bisogna ancora trovare i responsabili; la liberazione personale è una cosa giusta, e posso dire che giustizia è fatta da questo punto di vista. Restano da fare tutti gli accertamenti. Non c’è motivo di gioire, bisogna individuare le resposanibilità e capire cosa è successo, dal nostro punto di vista nulla cambia”.
L’avvocato Perlillo, che difende il capo servizio Gabriele Tadini, uscendo dal carcere spiega di aver chiesto lui stesso i domiciliari per il suo cliente perché la questione del blocco frentante è oggettivamente una colpa sua: “Su questo aspetto è indifendibile: mi sembrava offensivo nei confronti di tutti chiedere la libertà. I domiciliari sono una soluzione come ha scritto il giudice nella sua ordinanza che riesce a mitigare sia le esigenze cautelari sia la gravita di questo reato”.
La procuratrice Olimpia Bossi uscendo dal carcere spiega di non voler commentare il provvedimento: “Mi riservo di leggerlo attentamente, esistono gli strumenti giuridici per il ricorso. Il giudice stabilendo la remissione in libertà di Nerini e Perocchio non ha ritenuto che vi fossero indizi sufficienti, non sono state ritenute credibili sia le dichiarazioni di Tadini che di altri dipendenti che avevano indicato come questa fosse una scelta nota; il giudice ha creduto alle dichiarazioni di estraneità resa da Nerini e Perocchio che hanno scaricato la responsbailtà di questa scelta esclusivamete su Tadini”.