Sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla caccia in periodo di divieto, utilizzo di mezzi vietati, mancata denuncia di armi e munizioni, omessa custodia, porto abusivo d’armi e abbattimento di fauna selvatica senza concessione. A spiccare la denuncia, la Polizia provinciale che dopo lunghe indagini, il 7 settembre, ha colto i bracconieri in flagranza. Si tratta di cinque residenti ad Oggebbio, due cugini di origine sarda (50 e 42 anni) al vertice dell’organizzazione, e tre di origine albanese (20, 27 e 33 anni). Le indagini erano patite dalla segnalazione di alcuni abitanti di Oggebbio, che dalla frazione Dumera avevano sentito provenire gli spari. Dopo appostamenti, anche notturni, da qui il nome dell’operazione “Occhi nel buio”, le donne e gli uomini della Provinciale hanno individuato zone di foraggiamento che servivano ad attirare gli animali selvatici: cassette di frutta, in particolare. Sono stati registrati i movimenti dei bracconieri attraverso videotrappole mimetizzate e piazzate sugli alberi. Una volta raccolti tutti gli elementi il 7 settembre la Provinciale ha individuato un bracconiere in arrivo nella zona, la sera, a bordo di un’auto. Nello zaino una vecchia doppietta calibro 12 opportunamente smontata. Pochi minuti dopo le 22 è partito il colpo. A terra è rimasto un cervo coronato di circa 200 chili. Nei giorni prima erano stati ritrovati in zona animali feriti: cervi, cinghiali e caprioli, perché i cacciatori di frodo usavano diversi tipi di armi, tra cui una doppietta calibro 22, con “munizioni spezzate”, illegali perché da lontano feriscono l’animale senza ucciderlo, condannandolo a una lenta agonia senza la possibilità, spesso, di recuperare il corpo. Il cervo invece è stato ucciso. Sul posto è arrivato con un furgoncino cabinato un cugino del bracconiere, con l’intento di caricare l’animale, colpito mortalmente al collo con un colpo di arma da fuoco a pallettoni, sul mezzo e portarlo via. Le indagini sono ancora in corso, all’indomani del fermo, infatti, sono state fatte le perquisizioni e sono stati trovati indizi che hanno portato gli inquirenti a tracciare i contorni di un sodalizio criminale che andava avanti da tempo e che generava migliaia di euro di profitti. La carne di selvaggina può essere infatti venduta a 10 euro al chilo, e molto può valere per gli appassionati il palco di un cervo coronato: fino a 8mila euro. L’ipotesi è che la carne venisse smerciata a privati e alla ristorazione locale con gravi rischi per la salute in quanto non sottoposta ai controlli. Controlli obbligatori, in particolare per il cinghiale (a seguito dei casi di peste suina) per verificare la presenza di Trichinella, piccoli parassiti che possono abitare la carne degli animali e che se ingeriti possono causare Trichinosi. «Sono soddisfatto del risultato – ha spiegato il comandante della Polizia provinciale, Riccardo Maccagno, nella conferenza stampa che si è tenuta nella sede della Provincia a Fondotoce questa mattina, venerdì, per presentare l’operazione – è frutto di un grande impegno di tutto il personale che con intuito, conoscenza del territorio, dimestichezza con le nuove tecnologie, ha saputo centrare il risultato. Mi preme sottolineare come le persone denunciate nulla abbiano a che fare con il mondo venatorio». (Maggiori dettagli sul numeri di Eco Risveglio in edicola giovedì).