Aggiornato al 8 Dicembre 2024

Da Baceno all’Ecuador per raccontare la valle dei calciatori

«E’ una cosa nata per sfida, io non sono un giornalista o un documentarista, ma sono felice che il mio lavoro abbia avuto questa visibilità». A parlare così è il giovane ossolano Edoardo Costa, bacenese doc (è figlio del sindaco Stefano Costa; ndr), che da circa un anno vive e lavora in Ecuador dove lavora per una Ong locale. In questi giorni è in Italia in attesa di ripartire per il Sud America. 

Il suo reportage sulla valle del Chota, la valle dei calciatori, di cui Edoardo è coautore insieme al giornalista Ruben Lagattola, è stato pubblicato sul sito di Repubblica.it nella rubrica “mondo solidale” (link articolo: https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2018/11/19/news/ecuador-212041140/?fbclid=IwAR2I6n0mM1nm3Woe2aLOwlD61zxAGAg91YRYhhqrM4IvseEqRI4LiXSYA6c e link video: https://video.repubblica.it/mondo-solidale/quell-angolo-dell-ecuador-andino-dove-vivono-gli-africani-discendenti-degli-schiavi/320134/320762?fbclid=IwAR0ZeAEtlr_uWUToHPbcmDYsxVk04i7knZkgHaH2iSNhnutCkJACUDvIuws ) e anche sul sito di Rsi (la tv nazionale svizzera, link: https://www.rsi.ch/news/oltre-la-news/La-strana-valle-del-Chota-10774985.html)

Il breve documentario parla dello strano caso di questo pezzo di Ecaudor andino che sembra Africa, a partire dal clima e non solo. Lì vivono infatti tante persone di colore discendenti degli schiavi portati lì nel XVII secolo dai gesuiti spagnoli per coltivare canna da zucchero, cotone e lavorare nelle miniere. 

Nel video c’è un’intervista a Édison Méndez, calciatore ecuadoriano considerato nel suo paese un’autentica leggenda per aver portato la nazionale a disputare tre campionati del mondo (2002, 2006 e 2014). Nel primo mondiale, in Corea e Giappone, il primo avversario, tra l’altro, fu proprio l’Italia (che vinse con una doppietta di Christian Vieri). 

Il documentario ha riscontrato on line un discreto successo, arrivando ad avere quasi un migliaio tra visualizzazioni e condivisioni sui social ed è rimasto per diversi giorni nella home page di Repubblica come uno dei video più visti ed apprezzati. 

Quello che colpisce di questa storia è il grande senso di riscatto per un popolo, quello dei discendenti africani degli schiavi, che proprio grazie al calcio e ai loro campioni hanno ottenuto di essere considerati con occhio diverso dal resto della popolazione, che li aveva sempre discriminati proprio per il colore della loro pelle. 

Abbiamo intervistato Costa per saperne di più sul documentario e sul suo lavoro. 

Costa, come è arrivato in Ecuador? 

«Sono arrivato qui nel settembre 2017 per fare il Servizio Civile che è durato un anno e ora ci tornerò presto per iniziare a lavorare. Il servizio civile l’ho fatto presso il Fepp, Fondo Ecuatoria Popolorum Progressio, una delle maggiori Ong ecuadoriane, con il Cesc Project, l’ente italiano accreditato che coordina diversi progetti di servizio civile. Proprio mentre ero qui ho conosciuto Ruben, un giovane di Ancona che di lavoro fa il giornalista free lance e ha avuto esperienze in tutto il mondo, dalla Siria all’Africa».

Ruben era lì per fare questo servizio? 

«No, in realtà stava facendo un altro lavoro, un progetto sul cacao per un ragazzo che ha una ditta italiana che produce cioccolato. Parlando con lui è venuta fuori questa bellissima storia di riscatto e orgoglio nata nel mondo del calcio. La storia ci affascinava, così abbiamo cercato di contattare tre calciatori della nazionale del 2002, originari di questa zona: Édison Méndez, Agustín Delgado e Ulises de la Cruz. Alla fine siamo riusciti a intervistare  il solo Mendez, che è forse il più forte dei tre, essendo stato il primo ecuadoriano a giocare in Champions leaugue con il Psv Eindovehn e il primo ad entrare nella classifica del Pallone d’oro. Si è rivelata un’esperienza molto bella e mi sono divertito moltissimo».

Il video è un micro-doc, esiste anche una versione più estesa? 

«In realtà no, anche se ci sono varie ore di riprese… Il montaggio è la fase più difficile e ci ha aiuto in questo Jimmy Vizcaìno». 

E’ anche disponibile su YouTube? 

«Al momento ancora no, ma lo sarà presto». 

Tornerà in Ecaudor? 

«Il mio servizio civile è terminato a settembre, ora a gennaio andrò lì come cooperante a lavorare part time per questa Ong e darò supporto ad altri ragazzi che andranno lì a fare il loro servizio civile». 

Farà altri documentari? 

«Per me è stato un gioco anche se devo ammettere che non mi dispiacerebbe fare altri mini doc in futuro».

La scelta di lavorare all’estero nasce dalla sua passione per i viaggi? 

«Sì, dopo la laurea in scienze politiche ed economia politica ho scelto la specializzazione in cooperazione con diplomi post laurea; sono stato prima in Colombia e poi in Ecuador. Mi piace molto viaggiare e sono innamorato dell’America Latina. In più mi piace l’idea di sentirmi utile in qualche modo, per questo ho scelto questo tipo di percorso».

In che città dell’Ecuador ha vissuto? 

«Ero a Dibarra, cittadina che si trova a due ore di macchina da Quito; ora che tornerò laggiù sarò però a Quito, la capitale».

RIPRODUZIONE RISERVATA ANCHE AI FINI DELLA AI

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