Aggiornato al 5 Ottobre 2024

Tre guardie di confine tardarono il rimpatrio di una 22enne siriana incinta, che a causa delle lungaggini perse il bambino. Condannate

Sono state condannate le tre guardie di confine che intercettarono nel 2014 una donna 22enne, siriana, che a causa delle lungaggini del rimpatrio a Domodossola, perse il bambino con un aborto spontaneo. A dare la notizia oggi, lunedì, il “Corriere del Ticino” dove si legge che secondo i giudici «i tre avrebbero dovuto mostrare coraggio civile: sarebbe stato loro dovere chiamare un’ambulanza, anche contro la volontà del loro superiore». La notizia, emersa solo ora, parla di un giudizio emesso a febbraio e a marzo, che ha previsto il versamento per 30 giorni, da 100 a 200 franchi (da 3.000 a 6.000 franchi) ciascuno. Il capo delle tre guardie di frontiera, un sergente maggiore, era già stato condannato nel 2018. In Appello, la pena detentiva per lesioni colpose e ripetuta inosservanza di prescrizioni di servizio era stata ridotta a 150 aliquote giornaliere di 150 franchi con la condizionale. La donna era stata fermata alla frontiera Franco-Svizzera col marito e altri 36 profughi, mentre tentava di raggiungere la Francia. Furono proprio gli addetti delle dogane francesi a consegnare i profughi alle guardie di confine svizzere perché fossero riportati in Italia dove avevano inoltrato la prima richiesta d’asilo. Trasportati in autobus a Briga vennero trattenuti nei locali delle guardie di confine. Qui la donna stette male, ma nonostante i ripetuti tentativi di chiamare un medico, non venne ascoltata e quando finalmente raggiunse Domodossola ebbe un collasso. Venne subito trasportata in ospedale, ma i tentativi dei sanitari di salvare il bambino furono inutili ed ebbe un aborto spontaneo. All’epoca dei fatti, il marito e la la donna ebbero parole di grande apprezzamento per come vennero trattati in Italia.

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