Aggiornato al 27 Luglio 2024

Don Renato Sacco sulla guerra in Ucraina: «Le armi non sono l’unica soluzione»

La giornata del digiuno per la pace, nel mercoledì delle Ceneri, ha assunto un significato ancora più profondo. L’appello con il quale Papa Francesco ha invitato tutti a pregare, rivolgendosi a «credenti e non credenti» perché «Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno», viene richiamato con forza anche dalle riflessioni di don Renato Sacco. Dal sacerdote cusiano, da sempre in prima fila per la pace, da lungo tempo nel direttivo nazionale di “Pax Christi” e profondo conoscitore di scenari di guerra e di luoghi di tragedie e sofferenze nei quali è stato più volte, in queste ore così drammatiche che hanno portato la guerra alle porte dell’Europa arriva l’invito «a non lasciarci accecare dalla retorica dalla quale siamo sommersi, a non lasciarci trascinare da una logica secondo la quale le armi sono l’unica soluzione». Già poche ore dopo l’inizio delle ostilità, don Sacco aveva aperto le porte della chiesa di Cesara per chiunque volesse pregare. «La cultura della pace deve essere però un lavoro portato avanti da tutti, non è qualcosa che si appalta a qualcuno magari chiedendosi semplicemente “dove sono i pacifisti?”, come si è fatto puntualmente anche allo scoppio di questa guerra» sottolinea don Sacco, rispondendo così a chi ha sottolineato una risposta più “fredda”, con meno partecipazione rispetto ad esempio alla grande mobilitazione del 2003 per la guerra in Iraq. «Le manifestazioni ci sono state, ci sono e ci saranno, arriviamo anche da anni segnati dalla pandemia con tutti i timori e le difficoltà che questa si è portata dietro anche per quanto riguarda spostamenti ed organizzazione di grandi mobilitazioni, ma il tema non può limitarsi a questo – ragiona il parroco di Cesara -. Non possiamo ridurci a misurare tutto in termini di manifestazioni. Ciascuno nel suo ambito invece deve operare perché le tematiche della pace, la cultura del dialogo e l’opposizione alla vendita delle armi e all’enorme business che dà vita alle tragedie come quella che stiamo vedendo anche in Ucraina diventino un impegno quotidiano. Su questo purtroppo però la politica, spesso anche la grande informazione e più in generale un sistema che non mette la sofferenza delle persone al centro dell’agenda, deve riflettere e cambiare davvero in profondità». Don Sacco pone l’accento anche sul forte richiamo che Papa Francesco ha fatto nell’Angelus di domenica 27 febbraio, ricordando che la Costituzione italiana ripudia la guerra. «Deve essere il Papa a citare la Costituzione mentre la politica trascura questo aspetto ed è incredibile – continua don Renato -. Ci troviamo in una situazione nella quale l’Italia dà il suo consenso alla vendita di armi all’Ucraina nel solco di una decisione comune da parte dell’Unione Europea, un passo che tradisce i valori che sono alla base stessa sia del nostro Paese ma anche della costruzione europea». Come rispondere allora alla richiesta di aiuto di un paese che denuncia l’invasione e che vuole difendersi? «Partiamo dal presupposto che Putin è il responsabile dell’aggressione, questo mi pare del tutto evidente, ma con le mosse che l’Europa sta compiendo si sta mettendo sullo stesso piano della spirale di violenza che non porta ad alcuna soluzione – replica don Sacco -. Non si può uscire da questa soluzione fomentando uno scontro armato e riempiendo un paese di armi. Abbiamo già visto cosa succede se si imbocca questa strada. L’abbiamo visto nella guerra “per esportare la democrazia” che abbiamo intrapreso in Iraq così come nello scenario dell’Afghanistan. Senza dimenticare trent’anni fa la tragedia di Sarajevo, le scene di una città sotto assedio per le bombe e le armi che anche noi in quel caso abbiamo dato per attaccare ci devono far ricordare dove ci porta la spirale della violenza. Dovremmo quindi riempire di armi anche i palestinesi o magari i curdi perché così pensiamo di sostenere una lotta per la pace e per le rivendicazioni degli oppressi? No, non è e non può essere la via da percorrere. Segnalo, ad esempio, che nella tragedia che stiamo vivendo in questi giorni in Ucraina non è stata l’Europa a promuovere un tavolo di dialogo tra Ucraina e Russia, dal continente non è partita nessuna iniziativa di questo tipo». Per don Sacco, insomma, «gli unici a ringraziare in questo scenario sono i produttori di armi, che come capita sempre in situazioni del genere fanno grandi affari. Noi che oggi piangiamo al fianco degli ucraini vediamo immagini di carri armati entrati nel loro paese, carri armati prodotti anche da aziende italiane e che abbiamo venduto ad esempio anche a Putin».

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