In via Provinciale a Masera il cancello del cortile e la porta di casa sono aperti. Fuori il necrologio avvisa che Franco Sgrena non c’è più. Il partigiano Ranca se n’è andato questa notte, a 96 anni, all’ospedale San Biagio a Domodossola dov’era ricoverato da un paio di settimane per un’infezione polmonare: la situazione si è aggravata col passare dei giorni, il cuore non ha retto, e poco più di un anno dopo la morte della cara moglie Antonietta, se n’è andato anche lui. Accanto al feretro, nella casa di Masera, è stato posato un mazzo di fiori: sono rose e garofani rossi. Ranca è un simbolo, tra gli ultimi in Ossola, della battaglia di liberazione dai nazifascisti da parte di quei partigiani che proprio in questi giorni, nel ‘44, resero possibile la “Repubblica dell’Ossola”, un piccolo lembo di terra libera nell’orrore della dittatura in Italia. Sgrena era tra chi, imbracciato il fucile, aveva combattuto nei boschi e poi era sceso a Milano a celebrare la vittoria con l’orgoglio di chi sapeva di aver combattuto dalla parte giusta. E infatti il suo impegno non era mai mancato, neppure negli ultimi anni. Era stato doloroso non vederlo insieme a “Topolino” Fovanna, alle celebrazioni del 2 ottobre in piazza Matteotti a Domodossola. Ma poi Franco era stato anche lo “spallone”, lo “sfrusitt”, il contrabbandiere: bricolla in spalla per sbarcare il lunario aveva attraversato il confine con la Svizzera in un eterno guardie e ladri con la Guardia di finanza, lui che aveva imparato a percorrere quei sentieri fin da bambino, con la vita dei campi. Era stato il padre che aveva aperto le porte della sua casa nel clamore del rapimento nel 2005 della figlia Giuliana Sgrena, giornalista del Manifesto, inviata in Iraq. Ospitava tutti, anche i giornalisti, fino a tarda sera, forse perché pensava che ogni cosa poteva servire e, aveva confidato poi, tutte quelle persone intorno gli avevano aggiunto un po’ di forza. Non aveva molte parole, Franco. Aveva solo quelle giuste, avrebbe detto lui, poche, per definire gli unici valori in cui ha creduto per tutta una vita. Quelle parole le aveva raccolte Giuliana qualche anno fa nel libro che lo racconta “Novant’anni da ribelle”. I valori erano gli stessi fin da ragazzo, da quando, dalla valle Vigezzo si era portato via “Netta”, Antonietta, una bella storia a cui lo scrittore ed ex direttore di Eco Risveglio, Benito Mazzi, ha dedicato il libro, “La ragazza che aveva paura del temporale”. Con la stessa coerenza s’era fatto uomo scegliendo da che parte stare, coi partigiani, e poi da padre e da presidente onorario dell’Anpi di Domodossola, che fino a un paio di giorni fa, dal letto d’ospedale dava indicazioni sulle tessere da distribuire, aveva avuto la stessa schiettezza. Pochi svaghi: le carte con gli amici al bar e quei giornali, sempre tanti, come preghiera del mattino. I funerali in forma civile verranno celebrati lunedì alle 15 in piazza 25 Aprile a Masera.