Una gabbia profonda due metri e alta un metro e mezzo nei boschi di Fondotoce. Da questo ritrovamento è partita l’operazione congiunta della Polizia provinciale e dei Carabinieri della forestale al comando del tenente colonnello, Giuseppe Laghezza, che ha portato alla denuncia di tre uomini, 76, 24 e 57 anni, con l’accusa di reato di caccia con mezzi e strumenti non consentiti e, per i due più anziani, anche di di detenzione di armi e munizioni clandestine con il rischio (per uno) di finire in carcere per otto anni. Circa un mese fa gli uomini della Polizia provinciale avevano trovato la gabbia, utilizzata per cinghiali e ungulati, durante i comuni controlli. Talvolta le stesse gabbie vengono utilizzate nei boschi dalla Provinciale per l’abbattimento selettivo: vi si mette del sale e l’animale entrando rimane imprigionato. Non era questo il caso. Forestale e Provinciale avevano quindi posato le telecamere scoprendo, ha spiegato il comandante Laghezza, l’alternarsi sul posto di uomini che abitavano nelle vicinanze, uno ha la residenza a Calasca Castiglione, ma ha anche una casa a Fondotoce, per sistemare la trappola, ancorarla meglio al terreno, verificare se vi fossero animali. Una volta identificati i presunti bracconieri, attraverso pedinamenti e controlli sono state trovate tagliole e lacci metallici nei boschi della valle Anzasca, mentre nelle abitazioni e nelle auto dei due più anziani, armi clandestine e proiettili: un fucile Thompson calibro 222 con mirino di precisione, visore notturno e silenziatore, ed un fucile Rhoner calibro 222 dotato anch’esso di ottica di mira e silenziatore. Contestualmente sono stati rintracciati, mai denunciati, numerosi proiettili, alcuni inesplosi ed alcuni esplosi. «Circostanza che palesa l’avvenuto impiego operativo delle armi – spiega Laghezza –. Si tratta di fucili che provengono dall’estero e che non sono previsti dalla legge italiana come armi da caccia; al sud vengono utilizzati dalla criminalità organizzata, non hanno cartucce ma veri e propri proiettili, si tratta di armi di precisione, le stesse che vennero usate per l’abbattimento del lupo in bassa Ossola». Secondo il disegno della Forestale, però, non sarebbe il lupo la preda braccata dagli uomini. «Ungulati e cinghiali – spiega Laghezza – da rivendere a macellerie per poi finire nel commercio di ristoranti e rifugi. Si tratta di ipotesi, è chiaro, ma le indagini proseguono in questo senso». Tra gli accusati, il 76enne era anche privo di porto d’armi. Entrambi gli uomini hanno detto di non conoscere la provenienza dei fucili, di buon valore economico, che non risultano registrati in Italia e provengono probabilmente dall’estero. «L’accusa di caccia con strumenti non consentiti – spiega infine Laghezza – è riferita anche alle tagliole posate nei boschi, davvero pericolose anche per eventuali escursionisti».