Aggiornato al 27 Aprile 2024

Addio a Nicolazzi, dalla Resistenza alla A26

Franco Nicolazzi si è spento, a 90 anni, nella clinica San Carlo di Arona dove era ricoverato, nella notte tra il 21 e il 22 gennaio 2015.
Nato a Gattico il 10 aprile del 1924, Nicolazzi è stato uno dei grandi protagonisti politici della prima Repubblica, arrivando a ricoprire incarichi importanti: sette volte parlamentare, deputato europeo, due volte ministro (una volta dell’industria e una volta dei lavori pubblici) e segretario politico del Partito socialdemocratico italiano dal 1985 al 1988.

Come molti della sua generazione Nicolazzi si ritrovò, nel 1944, a scegliere tra il fascismo e l’antifascismo; la sua scelta lo portò nelle fila della Resistenza, come partigiano delle brigate Matteotti. Nel dopo guerra con Saragat fu fondatore del Psdi; quella di Saragat fu una figura decisiva per il suo percorso politico tanto che dopo il suo ritiro dalle scene Nicolazzi divenne direttore della fondazione che porta il nome dell’ex presidente della Repubblica.
Nel Vco e nell’Ossola in particolare, il suo nome è inesorabilmente legato all’autostrada Voltri- Gravellona Toce e alla superstrada del Sempione, che vennero pianificate durante il periodo in cui fu ministro.
La sua carriera politica finì alla vigilia di Tangentopoli, travolta dallo scandalo delle “carceri d’oro” scoppiato nel 1988, scandalo citato anche nella canzone “Don Raffaè” di Fabrizio De Andrè.

Nei giorni del processo e della condanna infuriava la tempesta di Tangentopoli: Nicolazzi venne assolto per i reati di corruzione e finanziamento illecito ai partiti, ma non per la concussione, per la quale prese due anni e otto mesi (poi ridotti a otto mesi). La tangente di due miliardi oggetto del processo si diceva fosse servita a finanziare il partito: una modalità all’ordine del giorno in quell’epoca politica poi confermata dalle inchieste di Tangentopoli.
Negli anni seguenti Nicolazzi pur non ricoprendo un ruolo da protagonista rimase un interlocutore ascoltato dietro le quinte della scena politica: in tanti si rivolgevano ancora a lui per un consiglio o un’opinione.

Nel 2010 venne insignito della Formica d’oro a Massino Visconti per la realizzazione dell’A26, che resta il suo più grande merito politico. Nello stesso anno gli venne data anche la cittadinanza onoraria a Gravellona Toce; nel 2013 venne chiamato sempre a Gravellona per il discorso ufficiale del 25 Aprile, suscitando le reazioni sdegnate del Movimento 5 Stelle che criticò la scelta alla luce della passata condanna; allo stesso modo sui giornali, nei giorni dell’antipolitica dilagante, non mancarono le polemiche per via del suo corposo vitalizio da ex parlamentare.
Lui, dal canto suo, aveva una dura corazza e sapeva sorvolare sulle polemiche: quando gli si rivolgeva qualche domanda scomoda, da politico navigato non perdeva mai l’aplomb e riusciva a cavarsela con una battuta.
Sull’episodio della condanna che aveva fatto calare il sipario sulla sua vita politica più di una volta aveva sottolineato come su quella vicenda fossero state scritte «tante cose fantasiose»; fedele però alla vecchia scuola che vuole come una smentita sia una notizia data due volte non si affannò mai a smentirle o rettificarle.
Continuava a seguire la politica odierna con distaccato interesse, anche se spesso non mancava di sottolineare una certa insofferenza verso i tanti “parvenù” della politica odierna che «si ritrovano in parlamento senza aver fatto un minimo di gavetta», nominati da qualcuno più potente di loro.

Durante l’estate trascorreva le vacanze a Santa Maria Maggiore ed era legato all’Ossola da un sentimento di affetto: in molti ricordano la sua battaglia, purtroppo persa, per concedere la zona franca all’area montana del Vco. Leggenda vuole che all’atto della nascita della Provincia del Verbano Cusio Ossola lui fosse un convinto sostenitore del capoluogo a Domodossola, ma che la scelta di Giulio Andreotti cadde su Verbania per un dispetto poltiico. Voce che lui, da politico navigato, aveva smentito lasciando però aperto il dubbio che se in così tanti lo dicevano, qualcosa di vero forse c’era.

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