Massimo Galli, direttore responsabile del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, conosce bene la valle Vigezzo e l’Ossola. La moglie, spiega al telefono, ha una casa a Cannero Riviera e quando riesce d’estate fa una puntatina a Santa Maria Maggiore: «Adoro il prosciutto vigezzino e le montagne dell’Ossola che frequento sin da bambino. Da piccolo i miei genitori mi portavano in vacanza all’Alpe Devero». Ha risposto ieri, mercoledì, con la solita cortesia anche se è stretto tra mille impegni, con due telefoni in mano e un terzo che squilla. Confida «mi sento un po’ Alberto Sordi». Racconta che è la terza telefonata che gli arriva «dal confine». Le altre due sono di colleghi svizzeri che chiedono se devono chiudere le frontiere ai lavoratori che dal Piemonte e dalla Lombardia arrivano in Canton Ticino: «Gli ho detto che al massimo siamo noi a dover chiudere le frontiere dato che l’incidenza di variante inglese è particolarmente presente nella Confederazione Elvetica in questo momento». E così veniamo al punto: il coordinatore dei frontalieri del Vco, Antonio Locatelli, come pure i sindaci di tutti e sette i Comuni, hanno chiesto per la valle Vigezzo, vaccini per tutti. Una richiesta proporzionata? «Non ho giurisdizione sul Piemonte, qui in Lombardia ho suggerito di non vaccinare solo per strati di popolazione, ma anche per zone. Nel vostro caso sarebbe importante vaccinare lungo i confini di entrambe le parti con un accordo tra Italia e Svizzera per mettere in sicurezza le aree con un vero e proprio cuscinetto. Andrebbero vaccinate tutte le popolazioni di frontiera, ancor più quando ci sono frontalieri, per creare una specie di “barriera” al contagio. Il problema è: abbiamo abbastanza vaccini?». Sul tema Galli spiega che la delocalizzazione delle vaccinazioni «è fondamentale» e anche in questo caso i sindaci della valle Vigezzo si sono mossi per tempo ottenendo, insieme all’Asl, una sede distaccata a Santa Maria Maggiore, dove gli ultra ottantenni potranno recarsi a partire da sabato. E’ di ieri, mercoledì, la notizia della chiusura delle scuole in tutto il Vco (anche se poi oggi, giovedì, dalla Regione sono state fatte alcune distinzioni per aree geografiche, ordine e grado delle scuole, ndr): scelta corretta? «E’ una triste necessità – risponde Galli – e una volta per tutte bisogna avere il coraggio di dire che le affermazioni sulla sicurezza delle scuole sono di contenuto di comodo, politico, ma non reale. Nelle scuole si condividono spazi chiusi tra molte persone, sono un ambiente a rischio, a prescindere dalla variante. Questo, mi rendo conto, implica un riflesso pesantissimo come la gestione dei figli da parte di madri e padri che devono andare a lavorare, ma è il virus che guida le danze e che dimostra una capacità di modificarsi causando problemi serissimi dal punto di vista delle limitazioni». La variante inglese è stata confermata almeno per quanto riguarda i casi di Re. Questo cosa implica? «E’ più contagiosa. Si diffonde oltre il metro e mezzo, rispetto al quale eravamo abituati e ha il 37-38% di contagiosità in più. E’ molto più in grado di infettare i giovani, nonostante questi ultimi abbiano forse recettori meno sensibili. A volta rimango un po’ esterrefatto di fronte a posizioni di persone che dicono “allora avevate promesso una cosa ma non è più possibile” ma non è che gli incendi ti avvertono quando arrivano. Ci sono le avvisaglie della terza ondata. Bisogna agire ora e non abbiamo neppure la certezza di riuscire a fermarla». Nei giorni scorsi si è discusso molto sui media svizzeri dell’assenza di un vaccino preparato dentro i confini, in una della nazioni che vanta un così alto numero di case farmaceutiche. «Trovo piuttosto retrò fare ragionamenti di autarchia vaccinale, e non li voglio chiamare sovranisti. Il punto è che l’Europa in generale, ma anche gli Stati che non sono in Europa geograficamente, al centro direi, come la Svizzera, non hanno avuto la lungimiranza di prepararsi per una produzione del vaccino parallela a quella delle case farmaceutiche che li hanno inventati. Ci si è messi nelle mani delle case farmaceutiche e non si capirà mai se questi ritardi sono frutto di un’inadempienza contrattuale o se si è praticato un overbooking, ossia se si sono venduti più vaccini di quelli che le case farmaceutiche stesse erano in grado di produrre».