Aggiornato al 27 Luglio 2024

Verso la RoboCup Junionr. Sgro: «Bisogna investire di più sull’elettronica»

Dal 10 al 13 aprile, l’Istituto Cobianchi sarà il palcoscenico della finale nazionale di RoboCup Junior Academy, competizione che racchiude una rete di scuole di tutta Italia. La scuola verbanese è anche capofila della “Rete di scuole del nord ovest per la Robotica nella didattica”, che abbraccia tre regioni del nord ovest; la gara territoriale si svolgerà quest’anno anche al Cobianchi il 13 marzo. Il professor Raimondo Sgro, coordinatore dell’evento, rivela dettagli e sfide nel campo della robotica educativa. Professor Sgro, la robotica è affascinante, ma lei sottolinea l’importanza spesso trascurata dell’elettronica. Perché? «L’elettronica è uno dei pilastri della robotica ma è poco gettonata. Mi confronto con tanti colleghi in tutta Italia e tutti sottolineano il problema. C’è disinteresse nonostante le molte richieste di impiego. Per questo faremo delle iniziative, anche nell’ambito della RoboCup Junior per stimolare l’interesse. Ad aprile è in programma un convegno. Non sarà specifico sull’elettronica ma parlerà di robotica e intelligenza artificiale. Ci saranno ospiti illustri come Luca Iocchi che insegna intelligenza artificiale all’Università La Sapienza di Roma e molti altri». Quanti team parteciperanno alla RoboCup? «Sono 348, ma dobbiamo fare una preselezione. Dopo le selezioni territoriali ci saranno 160 squadre, il numero massimo, suddivise in categorie». Come si struttura la RoboCup? «È divisa in tre grandi filoni. La Major Cup ha la sfida di calcio tra umani e robot, il recupero feriti e applicazioni robotiche. Nella Junior Cup ci sono calcio, recupero feriti (Rescue) e l’on stage, performance interattiva tra robot e umani». Perché l’elettronica è così cruciale per la robotica? «La robotica ha tre pilastri, tutti fondamentali: meccanica, elettronica e informatica. Facendo un parallelo con l’essere umano, l’elettronica è il sistema nervoso, gestisce gli impulsi, mentre la meccanica rappresenta le ossa. L’informatica è la logica e il ragionamento». Oggi si parla molto di intelligenza artificiale. Qual è il suo punto di vista? «L’IA ha radici nelle reti neurali che imitano il cervello umano. Le reti attuali si basano sul software ma girano sull’elettronica. Federico Faggin tentò, negli anni ‘80, un processore basato sulle reti neurali. Oggi, si discute di computer quantici e circuiti neurali, sempre alimentati dall’elettronica». Perché c’è disaffezione verso l’elettronica? «Come direbbe un vecchio comico: “Se lo sapessi lo dissi”. Forse c’è un po’ di disinformazione. Quando ero giovane, ormai nel secolo passato, quando si voleva dire che una cosa era complicata si diceva “qui ci vuole l’ingegnere elettronico”, per dare l’idea di una cosa difficile. Ma non è così: l’elettronica è complessa tanto quanto lo è l’informatica. La professoressa Mariagrazia Graziano del Politecnico di Torino a dicembre è stata al Cobianchi per parlare di computer quantistici e ci ha detto che non ci può essere distacco tra l’informatico e l’elettronico: devono lavorare in osmosi. Invece in Occidente le fiere dell’elettronica sono in calo. In Oriente no: io viaggio per hobby visitando fiere di tutto mondo e per le strade di Bangkok si vendono componenti elettronici. Io sono cresciuto con le riviste elettroniche, i componenti e i circuiti fatti in casa». Robot e l’intelligenza entrambi rispondono al bisogno dell’uomo di essere sostituito in mansioni gravose e noiose ma possono rubargli il lavoro. Come ci si difende dall’IA? «Aumentando la formazione. La cultura italiana, spesso solo umanistica, dovrebbe abbracciare anche quella tecnica. In Italia, la storia tecnica è ricca, ma fatica a essere riconosciuta come cultura. A scuola si esaltano Dante, Petrarca, Verga, anche se abbiamo inventato il primo personal computer, nato a Ivrea, all’Olivetti. Abbiamo avuto Fermi, Marconi, Meucci e lo stesso Faggin. Eppure facciamo fatica a considerarla “cultura”. Ed è così da sempre: Marconi andò in Inghilterra, Meucci e Fermi andarono negli Usa, come Faggin che inventò il microprocessore». Molti studenti in Italia non amano la matematica. Qual è la soluzione? «È un problema nazionale. La matematica è uno strumento per esplorare le discipline scientifiche. Il nostro cervello tende a scartare cioè che non ritiene utile. Per cui se pensi che la matematica non ti servirà, non la imparerai. Se invece si parte con l’idea che è un linguaggio utile, il nostro cervello avrà una predisposizione diversa. Cambiando l’approccio, vedendo la sua utilità, si può ridurre la disaffezione».

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